In Uruguay ci si trova bene
…a prescindere. Gente tranquilla (salvo durante le crisi di astinenza da mate), ospitale, armati della loro bombilla, cannuccia e thermos: inseparabili.
Corrisponde alla
impressione "moscovita” che me n’ero fatto. Imparo a conoscere il Frente Amplio: il grande ombrello, sotto il quale si può anche litigare, ma dal cui riparo nessuno vuole
uscire (quanti insegnamenti per la sinistra italiana post ’89…!).
Nella IS c’era il PGP e conobbi Antonio Gallicchio, che divenne nostro sostenitore. Invece il Partito Socialista (ed è anche il caso cileno), se ne stava orgogliosamente fuori.
Reynaldo Gargano, che un ventennio dopo sarà Ministro degli Esteri
e con cui sono rimasto in contatto, mi organizzò una riunione politica, una specie di seminario interno, con una decina di dirigenti socialisti uruguayani proprio sul tema della Internazionale socialista. Alla fine fu contestuale il nostro reciproco ingresso nella IS.
Mi aiutarono a districarmi nella selva di sigle e di progetti politici due compagni che avevano vissuto il loro esilio, ai tempi della dittatura, in Italia, nel PCI: Esteban Valenti e Mario "Lito” Lubetkin. Vedevo anche Renato Palermo della collettività italiana. Con Mario, sua moglie Rosina (brasilian-calabro-uruguayana), e i due figli che ho visto crescere, si è poi creato un forte legame d’amicizia.
Mario mi accompagnò all’incontro con Jaime Pérez, Segretario generale del PCU, persona ammodo ma prigioniero di un’altra epoca. Lui, e molti altri, si informarono ripetutamente su Renato Sandri.
Andai a visitare i gruppi parlamentari della sinistra e, attraverso questi, anche vari esponenti blancos e colorados.
Conobbi decine di militanti e dirigenti di tutte le componenti del Frente Amplio: dal Movimento 26 de marzo (dei loro militanti all’estero, un gruppo "gastronomico” è radicato a Genova), al PCU, dall’MPP-tupamaros di Pepe Mujica (che ha patito una lunghissima e durissima prigionia, in mano ai militari golpisti, prima di giungere alla Presidenza del paese), al PSU, dalla Vertiente Artiguista di José Bayardi, a molti altri.
Incontrai più volte Rafael Michelini, che era ancora fuori dal FA, Danilo Astori, Gonzalo e Marcos Carambula, Mariano Arana, Reynaldo Gargano, Pepe Bayardi, Ariel Bergamino, Martin Ponce de Leon, l’affabulatore Carlos Baraibar prorompente democristiano, come pure c'era Hector Lezcano e, successivamente, conobbi Tabaré Vazquez. Abbondante, e generalmente un po’ noiosa, la loro stampa. E, finalmente, mi portarono a conoscere il mitico generale Liber Seregni, fondatore e anima del Frente, persona mite e tenace, di grande saggezza.
Moltissime di queste persone avevano vissuto esperienze dure, a volte drammatiche e sconvolgenti, per il livello di violenza, durante la dittatura militare. Ne approfittai per andare a visitare la famiglia uruguayana che era stata in esilio a Lecco tanti anni prima: incontro commovente.
Con Fassino e Anna Serafini, a fine ’91, tornai a Montevideo. Incontrammo nuovamente più o meno gli stessi interlocutori e con i socialisti ci fu una riunione molto importante.
Nel 1993 mi invitarono ad un Convegno latinoamericano organizzato e finanziato dalla filiale nel cono sud della francese Fondazione Jean Jeaures. Fu molto interessante e potei prendere contatto con decine di esponenti di tutta l’America latina.
La Fondazione del PS francese, la Friedrich Ebert della SPD tedesca, la Pablo Iglesias del PSOE spagnolo, la Renner dei socialdemocratici austriaci, la Olof Palme degli svedesi, erano tutte fondazioni, finanziate dai rispettivi Stati, che tra i compiti statutari avevano anche quello di realizzare iniziative politiche all’estero. "Noi” purtroppo non avevamo uno strumento analogo e ciò fu sempre un serio limite nell’iniziativa politica verso l’America latina.
Nel 1993 realizzai una lunga intervista con Tabaré Vazquez, per l'appendice del libro "Rivoluzione addio, il futuro della nuova sinistra latinoamericana" (che scrissi a quattro mani con Giancarlo Summa), individuando in Tabaré una delle espressioni più interessanti di questa "nuova sinistra": non ci sbagliammo. Potei realizzare l'intervista grazie ai buoni auspici di Ariel Bergamino, intellettuale e strettissimo collaboratore di Tabaré Vazquez, con il quale sono sempre rimasto in fraterna relazione.